L’INTERVISTA – GALLETTI

«Servono incentivi per fare diventare la lotta anti-spreco una priorità».

Il presidente di Emilbanca, Gian Luca Galletti, parla dell’impegno storico dell’Istituto di credito a sostegno della campagna anti-spreco e del rapporto con il territorio.

di Gianni Gnudi

Bolognese, classe 1961, Gian Luca Galletti da poco più di un anno è al vertice di Emilbanca, cooperativa di credito nata da 19 piccole casse rurali locali che oggi è la terza Bcc italiana per mezzi amministrati. Una realtà fortemente impegnata sul territorio – 97 filiali fra Emilia e bassa Lombardia – e in salute, visto che ha chiuso l’ultimo bilancio con oltre 70 milioni di euro di utile. Galletti ha anche un background politico di rilievo – ministro dell’Ambiente dal 2014 al febbraio 2018 – e segue da tempo i molteplici aspetti che legano alimentazione, sostenibilità e spreco. Ecco la sua visione.

Lo spreco alimentare ha effetti climalteranti. Come ministro dell’Ambiente aveva dato un impulso forte alle pratiche anti-spreco. Sono passati alcuni anni e i dati presentati a Roma il 16 settembre scorso dall’Osservatorio Waste Watcher sono desolanti. Lo spreco è in forte ripresa. Come se lo spiega? Cos’è successo?

Abbiamo abbassato la guardia. A Parigi 2015, ero ministro dell’Ambiente, c’era stata una spinta molto forte sul fronte sostenibilità. Da parte di tutti i Paesi. Il mondo del 2024 è molto diverso da quello in cui Obama e Putin erano fianco a fianco. C’era la consapevolezza di avere davanti una sfida globale e la necessità di affrontarla in maniera unitaria. Quel clima si è perso, le grandi potenze hanno accantonato questo problema che rimane in agenda solo in Europa. E anche in quest’area la spinta propulsiva è inferiore.

L’Italia poi è un caso ancora più particolare: da noi lo spreco alimentare non è mai diventato una priorità. SI è regolamentato molto sul clima, su diversi aspetti della sicurezza ambientale, ma sullo spreco alimentare non si è fatto niente. E ciò comporta il fatto che con il tempo si dimentichino anche quelle buone abitudini che progressivamente si erano un po’ consolidate. Servono sforzi precisi. Anche a livello politico: non si è ancora visto un incentivo per coloro che si impegnano a limitare lo spreco alimentare. Non leggi – ce ne sono fin troppe – ma supporti specifici.

Emilbanca, la realtà che presiede oggi, è stata l’unica ad avviare al proprio interno un progetto pilota di controllo dello spreco, con l’impegno diretto dei propri dipendenti. Come vi siete mossi e quali risultati avete ottenuto?

È un percorso di sensibilizzazione che, insieme a Spreco Zero, abbiamo proposto ai nostri 800 dipendenti per diventare virtuosi sul fronte spreco alimentare.

Oltre la metà dei dipendenti ha aderito e abbiamo identificato lo spreco nella loro quotidianità. E ci siamo posti l’obiettivo di ridurlo del 50% entro il 2030. Con corsi specifici abbiamo indicato loro le buone pratiche per gestire, ad esempio, gli acquisti alimentari o le scorte in frigo.

Siamo al secondo anno, con un orizzonte di altri cinque davanti: il risultato del primo anno è stato confortante con una riduzione dello spreco superiore al 10%. Siamo molto soddisfatti e in linea con l’obiettivo che ci siamo posti.

Da molti anni sostenete la campagna Spreco Zero. Quali sono i motivi che portano una banca a fare una scelta simile? Quali idee e progetti potrebbero invertire il trend di ripresa dello spreco?

Siamo fra i primissimi sostenitori della campagna e continueremo a farlo. Siamo una banca particolare, di credito cooperativo, che dal 1895 ha come primo obiettivo il sostegno del territorio e lo sviluppo delle comunità. In questo ambito l’aspetto ambientale e sociale è fondamentale e crediamo che la campagna Spreco Zero si sposi perfettamente con questa filosofia.

Per fare un ulteriore salto in avanti si potrebbe costituire un Tavolo a livello di Città metropolitana con tutte le componenti, non solo alimentari, per progetti comuni finalizzati alla riduzione dello spreco. L’importante però è darsi un obiettivo: -30% o -50%? Non importa. Serve essere operativi, misurare effettivamente quello che si sta facendo e avere una struttura di coordinamento delle iniziative.

La sostenibilità entra nei bilanci d’impresa. Lei, per formazione, è un esperto in materia. Cosa cambia per il mondo economico? E, soprattutto, qual è lo stato dell’arte? Siamo pronti?

Sta cambiando il mondo. Molto velocemente. Dal 2024 le grandi aziende devono presentare, integrati ai dati di gestione, i dati relativi alla loro posizione ambientale. Ed entro il 2026 anche quelli sociali e di governance. Alla fine di questo percorso tutti questi tre aspetti verranno rendicontati con criteri precisi. È una sorta di rivoluzione poiché significa valutare le aziende non solo dal punto di vista reddituale, ma anche in base alle loro performance ESG (Environmental, Social, Governance, ndr), appunto ambientali, sociali e di governance. Aspetti codificati in bilancio che andranno a incidere sul rating di banche e imprese. A ciò si aggiunge che le grandi aziende dovranno rendicontare anche le performance ESG dei propri fornitori agendo così su tutta la catena produttiva. Questo significa che la nuova normativa impatta anche sulle piccole e medie realtà.

Come in tutte le grandi trasformazioni ci sono momenti di confusione. Questo è uno di quelli, poiché le regole sono nuove, difficili, stringenti e anche costose. E l’Europa le sta portando avanti in maniera seria e responsabile. Cosa positiva ma che preoccupa poiché, per assurdo, essere virtuosi rischia di far perdere competitività alle imprese del Vecchio Continente rispetto a quelle di altre aree che su questo fronte non stanno facendo nulla. 

Una chiosa sui giovani. Se non si incide sull’educazione e sulla formazione molti sforzi potrebbero risultare vani. Cosa può fare una banca e cosa sta facendo in questo ambito quella di cui è presidente?

I giovani sono una nostra priorità. Sia sul fronte interno bancario poiché vogliamo rendere attrattivo l’Istituto alle nuove generazioni e stiamo lavorando con gli under 35 già inseriti perché rimangano in Emilbanca e la facciano crescere. Sia all’esterno sostenendo il più alto numero possibile di iniziative sul territorio dedicate ai giovani. Cultura e sport in primis. Non è un segreto il fatto che la banca continui a supportare un numero davvero rilevante di associazioni sportive dilettantistiche.

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