SPESSO BUONO OLTRE? MA NON SEMPRE…

L’editoriale di Andrea Segrè, direttore scientifico dell’Osservatorio Waste Watcher International e fondatore della Campagna Spreco Zero.

In questi giorni molti si chiedono se la proposta della Commissione europea di aggiungere nell’etichetta
alimentare alla dicitura “da consumarsi preferibilmente entro” l’espressione “spesso buono oltre” sia
effettivamente un modo per la riduzione dello spreco. Si tratta di una specifica per il cosiddetto “termine
minimo di conservazione”
, best before, nella dizione inglese. In effetti molti prodotti alimentari
confezionati – pensiamo alla pasta, ai biscotti, allo scatolame – se adeguatamente conservati possono
essere consumati anche oltre il termine indicato sulla confezione. Spesso, come dimostrato in diverse
indagini dell’Osservatorio Waste Watcher sullo spreco alimentare domestico, il consumatore non è
pienamente consapevole della differenza fra le due scadenze e ritiene che sia tutto da consumare entro.
Specifica che invece riguarda i prodotti freschi come latte, mozzarella, yogurt. Nel bidone della
spazzatura finiscono dunque molti alimenti che potrebbero essere ancora consumati, il cui totale in
valore ammonta per l’Italia a 6,5 miliardi € secondo l’ultima rilevazione dell’Osservatorio Internazionale
Waste Watcher 2023.


La nuova specifica aggiunge qualcosa al termine “preferibilmente”? Sì, forse per chi è in dubbio. Ma già
l’avverbio è molto chiaro. In ogni caso la valutazione va fatta per singolo alimento. Il rischio è che le
etichette già piene di informazioni, peraltro scritte in piccolo, confondano ancora di più. Basterebbe
inserire, come la campagna Spreco Zero chiede da anni, l’educazione alimentare nelle scuole e chiarire
la differenza fra le scadenze. Studenti, famiglie, insegnanti sono il miglior veicolo per una corretta
informazione e interpretazione delle scadenze, in questo caso.


La buona notizia però c’è. Ma è un’altra. La bozza di proposta della Commissione, che deriva
dall’impegno preso dalla strategia Farm to Fork del 2020, significa che non c’è ancora consenso su
un’altra proposta sempre relativa alle etichette, che doveva finire in un pacchetto unico. Il riferimento è
all’etichetta fronte pacco a semaforo, il cosiddetto Nutriscore
. Questo si che avrebbe un impatto, e
negativo, sulla consapevolezza dei consumatori attratti dal verde che significa via libera al consumo.
L’algoritmo su cui si basa questa etichettatura, già utilizzata in diversi paesi europei come la Francia da
dove origina, penalizza proprio gli alimenti base di una dieta sana e sostenibile come quella
mediterranea. E non tiene conto della qualità nutrizionale dei componenti alimentari e delle porzioni
rispetto alle esigenze di ogni singolo consumatore. Uno studio, in uscita a maggio per l’editore
Castelvecchi che riporta l’indagine Waste Watcher International sui consumatori di 9 paesi nel mondo,
dimostra chiaramente che questi preferiscono e capiscono meglio il sistema a batteria, come quello
proposto dall’Italia (Nutrinform Battery), più chiaro proprio negli aspetti nutrizionali.
Se la proposta non
è entrata nel pacchetto vuol dire che se non si farà in tempo entro la legislatura che finisce nel 2024.
C’è dunque più tempo per evitare che le etichette si riempiano di testo inutile e colorino ulteriormente,
facendo gli interessi di chi non ha a cuore né lo spreco e neppure la salute dei consumatori.

Andrea Segre

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