IL PUNTO

Ridurre lo spreco: da obiettivo etico a necessità sociale, economica e ambientale

Ogni anno si perdono ancora oltre 1 miliardo di tonnellate di cibo. Si allontana l’obiettivo di dimezzare lo spreco come indicato dall’Agenda 2030 dell’Onu. Servono un impegno corale, politiche coraggiose e strumenti educativi adeguati.

di Andrea Segrè 

Il Rapporto Waste Watcher International 2025 (Cross Country e Italia), offre una fotografia aggiornata e dettagliata dello spreco alimentare a livello globale, europeo e nazionale, mettendo in relazione dati quantitativi, impatti sociali, economici e ambientali, fino agli effetti del cambiamento climatico. 

A livello mondiale, lo spreco alimentare raggiunge dimensioni impressionanti: ogni anno si perdono o sprecano 1 miliardo e 50 milioni di tonnellate di cibo, pari a circa un terzo della produzione totale. Questo fenomeno è responsabile di quasi il 10% delle emissioni globali di gas serra e comporta uno spreco di risorse enorme: il 28% dei terreni agricoli coltivati e il 25% dell’acqua dolce vengono utilizzati per produrre alimenti che non arriveranno mai a tavola. Le conseguenze sociali sono paradossali: mentre si dissipano 3,5 miliardi di pasti al giorno, 673 milioni di persone soffrono la fame e 2,3 miliardi vivono in condizioni di insicurezza alimentare. 

Il quadro continentale conferma le contraddizioni. 

Nell’Unione europea si sprecano 59 milioni di tonnellate di cibo all’anno, equivalenti a 132 kg pro capite. L’Italia, con 139 kg, si colloca poco sopra la media europea, segnale di una minore attenzione delle famiglie. Il peso economico rimane assai rilevante: oltre 14 miliardi di euro buttati ogni anno lungo la filiera agroalimentare. 

La politica europea ha recentemente compiuto un passo avanti con la revisione della Waste Framework Directive, che introduce obiettivi vincolanti: -10% di spreco nell’industria alimentare e -30% nei consumi finali (famiglie e ristorazione) entro il 2030. Obiettivi importanti, ma meno ambiziosi rispetto al traguardo fissato dall’Agenda ONU 2030, che chiede di dimezzare sprechi e perdite alimentari in tutta la filiera. Una differenza che segnala il rischio di un impegno non all’altezza delle sfide globali, soprattutto a livello domestico. 

Rispetto agli obiettivi, il confronto con il passato aiuta a capire. Già nel 2010, grazie all’azione pionieristica di Last Minute Market con la “Dichiarazione congiunta contro lo spreco alimentare”, presentata alla Commissione Agricoltura e Sviluppo Rurale del Parlamento europeo e riportate nel Rapporto d’iniziativa votato dal Parlamento europeo nel gennaio 2012, si chiedeva di ridurre del 50% lo spreco alimentare entro il 2025. Era il primo atto politico internazionale che poneva con chiarezza la questione, anticipando di fatto gli obiettivi Onu. Ma oggi, nel 2025, siamo lontani da quel traguardo e ci avviciniamo alla scadenza dell’Agenda 2030 con un ritmo troppo lento. 

Il rapporto evidenzia inoltre i legami strettissimi tra spreco alimentare, crisi geopolitiche e climatiche. Le guerre in Ucraina e Medio Oriente hanno sconvolto il commercio globale di cereali e fertilizzanti, facendo crescere i prezzi e riducendo la disponibilità di alimenti essenziali. In questi scenari di instabilità, il rischio di spreco aumenta sia a monte della filiera – raccolti non raccolti o persi – sia a valle, nei consumi domestici, dove la pressione economica e l’inflazione alimentare colpiscono le fasce più deboli della popolazione che, abbassando il livello qualitativo degli acquisti alimentari, paradossalmente sprecano di più. 

Infine, il cambiamento climatico amplifica ulteriormente la crisi. Ondate di calore, siccità e alluvioni hanno ridotto nel 2024 la produzione agricola europea del 15% solo per i cereali, con effetti a catena su prezzi, disponibilità e sicurezza alimentare. Il clima instabile moltiplica i rischi di perdite e spreco, rendendo sempre più difficile garantire stabilità e accesso al cibo. 

Il Rapporto WWI 2025 lancia, dunque, un appello chiaro: ridurre lo spreco alimentare non è più soltanto un obiettivo etico, ma una necessità sociale, economica e ambientale. Le nuove generazioni, in particolare la GenZ, mostrano maggiore consapevolezza e propensione a comportamenti sostenibili. Ma serve un impegno corale: politiche più coraggiose, strumenti educativi e tecnologici come lo Sprecometro, e una visione integrata che restituisca al cibo il suo vero valore.

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