IL PUNTO

Cucina italiana patrimonio Unesco, un riconoscimento che deve essere inclusivo

In Italia il 10% della popolazione vive in povertà alimentare: l’importanza del valore sociale del cibo che non spreca e l’esperienza virtuosa delle cucine popolari.

di Andrea Segrè

Il riconoscimento Unesco della Cucina italiana come patrimonio culturale immateriale dell’umanità celebra la ricchezza della nostra tradizione gastronomica: un mosaico di pratiche, saperi e gesti quotidiani che da secoli uniscono le comunità e raccontano la nostra identità. Ma questo patrimonio vive davvero solo se resta inclusivo, accessibile, capace di parlare anche a chi, oggi, alla tavola fatica ad arrivare. 

In Italia, infatti, circa il 10% della popolazione vive in povertà alimentare: persone che non riescono a nutrirsi in modo adeguato e che trovano sostegno nelle cucine popolari, nelle mense sociali e solidali, nei progetti di recupero degli alimenti invenduti. Luoghi dove, ogni giorno, si pratica una cucina che è al tempo stesso necessità, ingegno e speranza. Una cucina che appartiene pienamente al nostro patrimonio, perché incarna uno dei suoi valori più profondi: non sprecare.

Le cucine popolari sono eredi dirette della tradizione domestica italiana: sanno trasformare poco in molto, sanno far nascere il gusto dalla semplicità, dalla creatività, dal rispetto degli ingredienti. Qui il “buon gusto” non è una questione estetica, ma etica: è l’arte di dare valore a ciò che rischierebbe di essere buttato, è l’atto quotidiano di restituire dignità attraverso un pasto caldo. 

Se l’Unesco riconosce la cucina italiana per la sua diversità bioculturale, per la sua capacità di adattamento, per il suo radicamento nei territori, allora queste cucine meritano di essere considerate parte essenziale del patrimonio. Perché custodiscono un sapere antico: quello del recupero, della sobrietà, dell’attenzione agli altri. Sono laboratori viventi di sostenibilità reale, non proclamata. Dimostrano che la cucina italiana non è un monumento da contemplare, ma un gesto sociale che si rinnova ogni giorno. 

Il riconoscimento Unesco non deve rimanere solo un orgoglio nazionale: deve diventare un impegno. Significa sostenere chi opera nelle cucine popolari, rafforzare le reti di recupero del cibo, incentivare politiche che riducano gli sprechi e garantiscano l’accesso equo al cibo buono. Perché un patrimonio è tale solo se nessuno ne resta escluso.

La cucina italiana è patrimonio dell’umanità. Ma lo è davvero solo se continua a nutrire l’umanità, tutta, soprattutto quella più fragile. Non c’è cultura del cibo senza cultura della solidarietà. E non c’è futuro per la nostra cucina senza mettere al centro chi oggi non può permettersela. 

Questo è il nostro compito: nutrire il patrimonio, non sprecarlo.

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